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Il commissario Brandara dopo le minacce: "Non so se resterò alla guida del Comune"

Pesanti le frasi nella lettera ricevuta: "Rischiati a toccare le nostre case e sei morta, ti sgozziamo, fai una sola cosa contro di noi e ti scanniamo"

"Rivendico il sentimento della paura, cosa che non mi era mai capitato in tanti anni di attività politico-amministrativa. Tutti sapete quante intimidazioni ho subito in questi anni, ma non ho mai avuto paura, stavolta sì. Non ho ancora deciso se continuare a rimanere alla guida del Comune di Licata o se mollare". Sono le prime parole del commissario straordinario Maria Grazia Brandara, dopo la lettera di minacce che le è pervenuta nelle scorse ore.

''Rischiati a toccare le nostre case e sei morta, ti sgozziamo via, fai una sola cosa contro di noi e ti scanniamo. Ti seguiamo e ti controlliamo a vista''. Questo è l'inizio del messaggio intimidatorio, che si chiude con la foto di una cassa da morto vuota, arrivato al commissario Brandara, nominata dopo le dimissioni del sindaco antiabusivismo Angelo Cambiano, sfiduciato dal consiglio comunale. Brandara, che ha denunciato l'intimidazione, aveva guidato il Comune, sempre da commissario, dal dicembre 2014 al giugno 2015. 

Era stata Brandara, da commissario, a stanziare i fondi per le demolizioni delle case abusive. Il sindaco Cambiano voleva attuare i decreti di demolizione ma ha sollevato l'ira di migliaia di suoi concittadini e ha subito minacce. Brandara, ex democristiana eletta all'Ars con la Casa delle Libertà, adesso vicina al governatore Rosario Crocetta, impiegata dell'agenzia delle entrate a Catania, è stata anche consigliere provinciale e sindaco di Naro.

''Sappiamo dove abiti a Palermo in via... e dove abiti a Naro, grandissima... tornatene al tuo paese scappa fino a che sei in tempo quando meno te l'aspetti ti spariamo. La cassa è già pronta''. Nel luglio 2016, nella sua carica di commissario straordinario dell'Irsap, aveva ricevuto un altro messaggio intimidatorio con allegate due cartucce di fucile.

Sulla vicenda i magistrati della procura della Repubblica di Agrigento, con in testa il procuratore capo Luigi Patronaggio, hanno aperto un’inchiesta.

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